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Consulenza organizzativa: come scampare alle sirene dell’onniscienza

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Il Consulting Psychology Journal ha recentemente pubblicato un case study su un percorso di consulenza organizzativa. Al di là della riproducibilità e dell’efficacia dell’intervento, quello che è interessante notare è che uno degli autori (e commentatori del caso) è il cliente stesso.

Consulenza Manageriale

I consulenti (e primi due autori dell’articolo) si muovono a partire dal classico modello di Schein sulla consulenza organizzativa. Tale modello, affinatosi nel corso degli anni, è stato il primo a definire come elemento centrale della consulenza la relazione reciproca tra aiutante e aiutato, tra consulente e cliente. Tale reciprocità permette di prevedere e monitorare i bias relativi alle soggettive percezioni degli attori coinvolti, piuttosto che considerarle come verità a priori. In particolare il modello di Schein aiuta a focalizzarsi su: (i) le reazioni emotive agli eventi in esame; (ii) le diverse interpretazioni alla base delle possibili scelte; (iii) la definizione e la consapevolezza di cosa sia conosciuto, conoscibile, ignoto a clienti e consulenti. Si assume un processo continuo e reciproco in cui il cliente non è uno spettatore passivo, ma piuttosto un attore fondamentale nella definizione e nel raggiungimento degli obiettivi.

Se usciamo dalla dinamica degli esperti in cui i consulenti spesso si arroccano, presumendo di difendere la propria posizione, possiamo forse scoprire come il dominio della consulenza sia il dominio di un conoscibile più che di un conosciuto. Laddove assumiamo che le nostre convinzioni professionali e ciò che noi osserviamo durante la consulenza siano verità incontrovertibili del nostro lavoro, rischiamo di trasformare l’intervento in un’operazione alla cieca in cui dover adattare un obiettivo alla metodologia e non viceversa. I vincoli di ogni processo consulenziale sono infatti definiti dalla e nella relazione tra consulente e cliente. All’interno di questa relazione possiamo co-costruire ciò che consideriamo conoscibile, soppesando i reciproci bias interpretativi. Quando parliamo di knowledge management dovremmo pertanto ricordarci che la conoscenza è un insieme di processi definibili solo all’interno di un qui-ed-ora di uno specifico sistema (che nel caso illustrato comprende anche dei consulenti). Tanto più includiamo nella nostra elaborazione tutti gli attori coinvolti (ovvero i nodi del sistema) tanto più possiamo estendere la (nostra) conoscenza del sistema stesso. Pur sempre consapevoli che esistono nodi, sotto-sistemi, sistemi attigui o sovraordinati che non potremo mai del tutto com-prendere nella nostra analisi.

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