In un recente articolo della BBC, Phil Tinline parla di una preoccupante corporate amnesia riferendosi alla possibile perdita di memoria a cui molte aziende potrebbero andare incontro.
La memoria a cui si riferisce è il filo rosso dei valori e delle esperienze che hanno contribuito all’identità di ciascuna organizzazione e che, nel tempo, sono state condivise e canalizzate in una specifica cultura aziendale. O almeno, così dovrebbe essere.
L’ostacolo che appare all’orizzonte è l’alto turnover con cui sempre più si stanno facendo i conti: l’assetto economico che si è creato favorisce, e spesso impone, un cambio abbastanza frequente di ruolo lavorativo e anche di azienda di riferimento. Questo tipo di esperienza, pur non essendo la regola, sembra rappresentare una tendenza molto più spiccata rispetto alle generazioni precedenti.
Il prezzo da pagare per ogni lavoratore che lascia l’azienda è un pezzo di storia interna che si perde, una parte di identità che probabilmente non sarà trasmessa né integrata. La somma di queste perdite si unisce alla possibile difficoltà di creare nuove narrazioni condivise, vista la velocità con cui il personale viene rinnovato.
La perdita di memoria aziendale genera dunque un costo per l’azienda non solo nei termini di competenze non trasferite e conoscenze preziose non documentate, ma anche di solidità identitaria e dell’immagine con cui l’azienda si presenta sul mercato.
In quest’ottica, la produzione di documentazione di vario tipo e la relativa memorizzazione in appositi database aziendali rappresenta solo un primo, se pur importante, passaggio per contrastare la corporate amnesia.
Favorire esperienze che permettano un maggiore engagement da parte del personale sembra poter recuperare e far emergere un filo rosso nella storia della corporate identity, che dovrebbe poter mantenersi mantenere solida pur attraverso le diverse narrazioni di chi la vive.