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Il dilemma del prigioniero

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In un articolo del Journal of Management Studies ci si chiede quando sia consigliabile un CEO esterno all’azienda per favorire un cambiamento strategico (Karaevli & Zajac, 2013). Gli autori hanno condotto uno studio longitudinale su numerose aziende confrontando i cambiamenti ottenuti da CEO outsider e insider. Le analisi hanno mostrato dei risultati apparentemente contro-intuitivi, evidenziando come spesso l’outsider possa risultare efficace in una condizione di stabilità. Un manager esterno sembra essere consigliabile in presenza di un successo di lunga durata, piuttosto che nel mezzo di una crisi o di un’instabilità organizzativa. Siamo infatti soliti pensare che un punto di vista esterno sia utile nell’affrontare un problema (e su questo principio si basa gran parte della consulenza organizzativa), ma per comprendere i risultati di questo studio dobbiamo forse prendere in considerazione ulteriori fattori.

Lo studio mostra sicuramente dei limiti non ponderando come un’azienda in crisi possa non avere le risorse e l’appeal per ‘reclutare’ un outsider di alto livello. Ma in ogni caso i due autori ci invitano a riflettere su quali siano i vantaggi e gli svantaggi nel mantenere una determinata cultura e strategia organizzativa. Un cambiamento strategico rappresenta (o meglio dovrebbe rappresentare) una nuova prospettiva, “un cambiamento di secondo ordine” (Watzlawick et al., 1974, p. 25) in cui i termini e gli elementi del discorso variano permettendo un nuovo modello di organizzazione e sviluppo aziendale. La ricerca di una soluzione alla crisi richiede pertanto che si riconsiderino i processi usuali e si tenti di declinare in maniera innovativa la vision e la mission. Un caso esemplare è forse quello di Sam Palmisano che da insider rivoluzionò la strategia di IBM, pur mantenendo gli elementi cardine della sua cultura aziendale in un momento di estrema crisi (Hemp & Stewart, 2004). Riuscì nell’intento grazie alla sua conoscenza dell’azienda e alla sua apertura al cambiamento che lo portò a coinvolgere tutti i dipendenti nel definire quali fossero i core issues della vision di IBM. Qualunque riorganizzazione deve essere infatti condivisa e poi incarnata da tutti i livelli del management e dai dipendenti stessi per far sì che non resti una mera dichiarazione di intenti. In questo processo svolge un ruolo chiave la conoscenza della cultura aziendale e la disponibilità (in particolare del CEO) a rendere tale cultura il veicolo e il confine di ogni possibile strategia.

Considerare il coinvolgimento dei dipendenti come uno stratagemma di marketing interno è purtroppo una modalità assai diffusa. Recenti dati mostrano come solo il 13% dei lavoratori si considerino coinvolti nella propria organizzazione (Gallup, 2013), con la conseguenza di ridurre notevolmente il loro investimento professionale nel supportare e mantenere un qualsiasi cambiamento. Dipendenti e manager si sentono sempre più prigionieri del loro posto di lavoro e di una cultura organizzativa che non sembra consentire loro di crescere professionalmente e vivere serenamente. Sebbene le condizioni economiche delle aziende e della nostra società svolgano un ruolo chiave in tutto questo, tendiamo a chiuderci in un dilemma in cui non sembra esserci alternativa. Ma è proprio questa “indiscussa illusione che si debba scegliere tra a e non-a, che non ci sia un’alternativa al dilemma, che perpetua il dilemma e ci rende ciechi ad ogni soluzione” (Watzlawick et al., 1974, p. 88). Ciò che è difficile immaginare, sia all’interno che all’esterno di un’azienda, è la possibilità di cambiare i vincoli e di conseguenza le possibilità di una cultura organizzativa, di considerare il cambiamento come una modalità diversa di gestire e condividere i processi manageriali. Un CEO (o un dipendente) disposto a mettere in gioco se stesso e la propria organizzazione è in grado di promuovere un vero cambiamento organizzativo. Se invece vive il successo o l’insuccesso come vincoli immutabili in cui ogni strategia si origina ed ha fine nelle sue esclusive azioni, difficilmente potrà formulare e condividere una vision o una mission aziendale. E poco conta che sia un insider o un outsider.

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