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Il precario equilibrio tra coraggio e compromessi

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Nel 1955 John Fitzgerald Kennedy decise di distrarsi dalla sua degenza per un intervento alla schiena, scrivendo un libro su quella che Hemingway chiamava la “grazia sotto pressione”, ovvero il coraggio. Ne uscì una raccolta di alcuni Profiles in courage in cui illustrava le vite e le carriere di personaggi politici che lo avevano ispirato.

Nell’introduzione JFK esalta la virtù del coraggio come una delle caratteristiche che rendono grande un leader. La descrizione che da di questa dote non è però una vaga e buonista dichiarazione di intenti. Emerge piuttosto una tenacia nel perseguire propri obiettivi e sogni senza mai perdere il contatto con il contesto, le persone che ci circondano. Così nel parlare dei compromessi che spesso sminuiscono e offuscano i buoni propositi dei politici, Kennedy precisa come le pressioni dell’opinione pubblica, dei colleghi, delle lobby rappresentino un ineludibile banco di prova. Un politico può, a suo avviso, cedere alla banale logica del do ut des, oppure considerare due presupposti che possono trasformare il compromesso in una mediazione necessaria a rendere percorribile la propria vision. Da un lato infatti ogni leader prende decisioni che scientemente influenzano le scelte di altri e quindi non può prescindere da loro. Dall’altro è animato come ogni persona dal desiderio di essere riconosciuto e apprezzato da chi lo circonda.

 

Questo precario equilibrio tra le aspettative su noi stessi e le aspettative degli altri rappresenta il terreno su cui un leader porta a verifica le sue scelte. L’innovazione, l’anticipazione del cambiamento richiedono ad ogni manager il coraggio di mettersi alla prova e trascendere l’ovvio, nella convinzione che ciò che viene immaginato, sognato possa dar valore alla propria leadership e alla propria organizzazione. Ma per far questo dobbiamo considerare la natura contestuale, relazionale di un problema e di ogni sua possibile soluzione. Se un leader identifica una criticità nella sua azienda potrà favorire un cambiamento solo e soltanto se riconosce che lui stesso è parte del problema attuale e che i suoi collaboratori saranno comunque parte della soluzione ipotizzata. Il senso del cambiamento sta nel fatto che l’alternativa possibile non è inclusa nel sistema di relazioni in cui sorge la necessità di cambiare, ma in nuovo sistema che dobbiamo co-costruire con tutti gli attori coinvolti (Watzlawick, Weakland, Fisch, 1974). Così l’identità professionale, il ruolo di leader deve essere prima ri-definito e condiviso per essere poi apprezzato e riconosciuto.

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