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Natura versus cultura: un dilemma insolubile?

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A devil, a born devil, on whose nature, nurture can never stick” (Shakespeare, The Tempest, 4.1)

Sin dalla nascita della moderna etologia il dibattito su natura e cultura ha animato e diviso scienziati e pensatori di vario genere. Nei più disparati campi del sapere ci si è chiesti dove genetica e ambiente intervenissero e se vi fosse un primato nello sviluppo delle caratteristiche di comportamento, sia negli animali che negli uomini. Riflettendo sugli studi di Darwin, Francis Galton coniò l’antitesi che sarebbe divenuta tanto famosa: nature versus nurture (appunto natura versus cultura, o meglio educazione). Se in ambito etologico il dibattito sembra aver superato questa antitesi, evidenziando un’interazine tra geni, ambiente e plasticità comportamentale (Allcock, 2013), nello studio dell’uomo si succedono ancora prese di posizioni nette, per non dire dogmatiche.

Durante il 2012 la rivista The Leadership Quarterly ha pubblicato due numeri (vol. 23-2 e 23-4) interamente dedicati alla possibile origine genetica della leadership e dei tratti di personalità ad essa collegati. Queste e altre pubblicazioni stanno riaccendendo un dibattito che sembra perdurare e appassionare (Science Daily, 2013). Come spesso accade, da un lato, abbiano studi disparati che cercano di analizzare (e integrare) aspetti specifici del comportamento umano, dall’altro abbiamo tentativi di semplificare (anche a costo di un certo riduzionismo) la complessità delle scelte e della vita umana. Negli articoli divulgativi è interessante notare come, ad esempio, di tutta la mole di dati pubblicati si riportino solo sensazionali e apparentemente risolutive ricerche su genotipi specifici della leadership. Nel confrontare gli studi specialistici, ab origine, con le riflessioni di vari opinionisti sembra emergere un bisogno, tutto umano, di semplificare le nostre conoscenze e rendere la vita facilmente prevedibile, controllabile. Di fronte alla complessità e al continuo fluire della vita restiamo spesso smarriti, come in balia di onde troppe alte e ricorrenti. Una spiegazione univoca ci lascia spesso la convinzione che ciò che stiamo escludendo sia superfluo e quindi non necessariamente considerabile. Ci dimentichiamo che “l’uomo che dispone la sua vita in termini di convinzioni specifiche e inflessibili su questioni temporanee rende se stesso vittima delle circostanze” (Kelly, 1955/1991, p. 16).

Anche se riuscissimo ad identificare tutti i geni connessi con la leadership dovremmo ancora comprendere la plasticità specifica e l’adattabilità individuale alla miriade di ambienti sociali nei quali questi dovrebbero operare. Come un moderno Sisifo dovremmo al variare di ogni contesto ricominciare a porci domande e a cercare risposte.

La leadership, come ogni comportamento umano, è forse più chiaramente comprensibile nei termini di scelte effettuate, sia dal leader stesso che dalle persone con le quale lavora, vive. Ognuno di noi, infatti, prende delle decisioni in base a un personale tentativo di dare senso alla sua visione del mondo e della vita. Un leader ha a che fare ogni giorno con le anticipazioni proprie e dei suoi collaboratori rispetto a eventi aziendali ed extra-aziendali. Definisce e condivide il suo ruolo nelle relazioni, sempre mutevoli, con le persone e gli ambienti che lo circondano. Tanto più è disposto a testare e rivedere tali anticipazioni, tanto più sarà efficace nel gestire i cambiamenti e le sfide che lo attendono. Sapere da dove veniamo è rilevante quanto sapere dove vogliamo andare e come e con chi vogliamo percorrere il nostro viaggio.

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