Risulta quasi impossibile pensare a un’azienda che non utilizzi la mail come strumento di comunicazione, sia internamente che nel rapporto con clienti e fornitori. La sua nascita si risale al 1971, quando Ray Tomlinson creò un sistema che consentiva alle Università di scambiarsi dei messaggi. Da allora molte cose sono cambiate, ovviamente la tecnologia ha fatto passi da gigante ed ora appare quasi scontato che qualsiasi realtà imprenditoriale ne faccia uso. Senza dubbio, essa offre una serie di indiscutibili vantaggi: permette una comunicazione molto più rapida rispetto ad altri canali, consente di raggiungere anche molti destinatari contemporaneamente e non vincola a un’interazione immediata da parte di chi la riceve. Ancora, è possibile utilizzarla su qualsiasi dispositivo dotato di una connessione internet e consente di documentare e archiviare una mole notevole di informazioni.
Ma in un’azienda fatta di persone, e non di robot, ci sono una serie di altri aspetti da tenere in conto che forse potrebbero farci riflettere anche sui limiti di uno strumento così potente.
Spesso si è affrontato l’argomento concentrandosi sull’utilizzo tecnico che ne viene fatto, come se si potesse esaurire il discorso considerando i filtri anti spam per arginare i messaggi non graditi o la possibilità di richiedere una conferma di lettura per essere certi che il nostro interlocutore abbia ricevuto il messaggio.
Uno studio pilota, può portare alla nostra attenzione alcune chiavi di lettura diverse: era il 2005 quando il Journal of Personality and Social Psychology pubblicò la ricerca condotta da Justin Kruger e Nicholas Epley, due ricercatori che vollero testare i limiti comunicativi dello strumento. Ciò che emerge in primo luogo è che l’interpretazione che il ricevente dà al messaggio spesso è molto distante dalle intenzioni di chi ha scritto. Ciò che non emerge attraverso un testo scritto, come il tono o il ritmo della voce, ha un ruolo fondamentale negli scambi comunicativi e la sua assenza comporta può comportare dei fraintendimenti. La prossemica arricchisce il linguaggio al punto da esserne parte integrante e, soprattutto in organizzazioni complesse come le aziende, la sua prevalente assenza non facilita le relazioni tra professionisti che giornalmente si interfacciano per degli obiettivi di business. Assumere il punto di vista degli altri è uno sforzo continuo che può permetterci di anticipare in parte le nostre relazioni, ma utilizzando prevalentemente la comunicazione scritta ci troviamo in una situazione in cui mancano una serie di segnali interpretativi utili a leggere la situazione mettendoci nei panni del nostro interlocutore. Allo stesso modo, è più difficile mettere a verifica le nostre ipotesi e riadattare le nostre scelte, perché non abbiamo dei feedback immediati e completi su cui basare le nostre interpretazioni. Su larga scala, questo tipo di interazioni può rappresentare un rallentamento nelle politiche di change management e può dare avvio a una serie di relazioni poco fluide, che tolgono energie agli obiettivi aziendali. Per queste ragioni, uno strumento potente e indubbiamente utile come la posta elettronica non può essere la scelta comunicativa prevalente nelle realtà imprenditoriali, anzi potrebbe essere addirittura controproducente nella misura in cui si dia spazio solo ai contenuti di ciò che si dice e non al modo in cui li si dice: Humberto Maturana sosteneva che “tutto ciò che è detto, è detto da un osservatore”. Nelle comunicazioni umane non abbiamo a che fare con dati oggettivi, ma con modi di vedere il mondo che si incontrano e che danno forma di volta in volta a interazioni particolari, fatti di esperienze e significati personali che non sempre sono racchiudibili in un testo e mail.