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Il nostro metodo

Il modello

Al centro della Psicologia dei Costrutti Personali (PCP), e della prassi che ne consegue, c’è la persona che, come uno scienziato, formula ipotesi e teorie su se stesso, gli altri, il mondo che lo circonda. In conformità a tali ipotesi si impegna in un processo continuo di sperimentazione, il cui risultato è una visione personale del mondo che comprende , ovviamente, anche la vita professionale. In altri termini, e secondo questo approccio, non siamo determinati dal passato, ma lo interpretiamo qui e ora, per muoverci verso il futuro in chiave prospettica: non viviamo nella reazione ma nell’anticipazione. Ne consegue che, poiché le persone sono le maggiori esperte di ciò che fanno e di ciò che significa per loro, ossia dei propri contenuti, nessuna teoria potrà fornircene un dizionario precostituito. La PCP è perciò una teoria vuota il cui contenuto sono le teorie personali di ognuno; è un insieme di coordinate e strumenti per costruire una mappa il cui territorio è l’altro, la sua narrazione di sé, il suo modo di interpretare e di scegliere. Questa visione delle cose, questo sistema di significati, questa teoria personale, tanto razionalmente pensata quanto visceralmente sentita, in altre parole, è il focus del nostro approccio e, di conseguenza, di ogni intervento.

Un sistema peculiare di significati, inoltre, si sviluppa, in termini di condivisione, anche nei gruppi. E’ questa la cultura di un gruppo o, nel nostro caso, la cultura di un’organizzazione.

La PCP, così concepita, trova un’ampia applicazione non solo nella clinica ma anche nella formazione e nella consulenza in ambito aziendale e organizzativo.

Le caratteristiche dell’intervento

Mettere al centro del proprio interesse umano e professionale il sistema di significati delle persone, implica non potervi in nessun modo e in nessun momento prescindere: ciò che le persone fanno, le scelte che essi operano, sono comprensibili e spiegabili alla luce della loro personale visione del mondo. Da questo presupposto derivano delle implicazioni operative nella formulazione e nella realizzazione dei nostri interventi.

1. Significatività

Il nostro intervento in ogni sua fase, dalla progettazione al follow-up, per essere efficace dovrà essere rilevante per l’altro nei suoi termini, e non esclusivamente nei termini del professionista. Ogni intervento andrà commisurato al peculiare sistema di significati del cliente e non su un format predeterminato.

2. Co-costruzione

Non faremo nulla sulle persone ma, nella misura in cui ne comprenderemo il punto di vista, potremo fare qualcosa con loro. La formazione e la consulenza non saranno, quindi, trasmissione di informazione o conoscenza, ma un laboratorio per sperimentare ed esplorare attivamente assieme, con e attraverso le teorie personali del cliente, alternative percorribili e maggiormente efficaci rispetto a quelle già conosciute e, plausibilmente, problematiche.

3. Teoria come prassi

Poiché le teorie personali servono per agire e l’azione, a sua volta, cambia le nostre teorie, ciò che diremo e faremo non potrà limitarsi all’aula, ma andrà esteso nell’immediato al contesto lavorativo. Alla luce di quest’orientamento, qualsiasi teoria che non abbia un riscontro pratico appare fondamentalmente inutile.

4. Problema come “stallo”

I problemi sono definibili come l’inerzia o l’arresto delle nostre teorie: la nostra visione delle cose, semplicemente, è in un vicolo cieco e noi non vediamo alternative percorribili. Qualsiasi cambiamento, per quanto desiderato, ci appare impossibile o troppo minaccioso. In entrambi i casi non revisioniamo le nostre ipotesi iniziali, continuando a fare qualcosa che, tuttavia, sentiamo fallimentare. Lavorare a un problema vuol dire riprendere a fare esperienza, trovare nuovi modi di stare di fronte alle difficoltà e, possibilmente, risolverle.

5. In prima persona

La quinta e ultima conseguenza – anche se non in ordine di importanza – è rappresentata dal coinvolgimento richiesto a chi lavora con il professionista: se il centro del nostro lavoro è la sua visione delle cose, il suo modo di fare esperienza e interpretarla, e non un aspetto definito di una generica mente umana, avremo sicuramente bisogno del suo investimento e della sua determinazione a mettersi in gioco. Il che vale, in una certa misura, anche per il professionista. Ed è questa forse, l’implicazione più minacciosa, sfidante e, allo stesso tempo, più singolare e incisiva di questo approccio il quale, non a caso, nasce nel rigore richiesto nella relazione clinica.

L’intervento

L’intervento, sia esso di formazione o di consulenza, sarà confezionato sul particolare sistema di significati del cliente e sarà, perciò, anch’esso peculiare. Non essendoci format predefiniti è possibile, tuttavia, alla luce dei presupposti e delle caratteristiche del metodo, definire l’intervento in tre fasi.

I. Assessment e pianificazione

Questa prima fase è dedicata alla costruzione di una bozza di lavoro a partire dalla mappatura dei contenuti e delle esperienze lavorative del cliente. La scopo è la definizione di un intervento contestualizzato, personalizzato e condiviso tra clienti e professionisti. E’ questa la fase in cui non solo si stabiliscono assieme obiettivi, modalità e tempi, ma si definiscono le ipotesi, le anticipazioni che dovranno essere puntualmente testate e che saranno, a valle, la misura dell’efficacia dell’intervento.

II. L’attività


L’attività, entro il mandato e la bozza di lavoro condivisi con la committenza, dovrà ovviamente occuparsi dell’insieme dei significati e delle narrazioni di tutte le persone coinvolte, delle loro scelte, di ciò che essi percepiscono come vincoli e possibilità del loro agire. In particolare per la formazione, l’attività sarà concepita come un laboratorio in cui, in relazione a uno specifico argomento o problema, ognuno (e coralmente) sarà invitato a:

  • esprimere la propria visione, le proprie ipotesi e anticipazioni;
  • valutare quanto vi investe o è disposto a investirvi;
  • agire, traducendo la teoria per come è vissuta in pratica;
  • verificare l’esito delle proprie azioni, dei propri esperimenti;
  • revisionare, se è il caso, le proprie anticipazioni ed esplorare, in un ulteriore ciclo esperienziale, nuove alternative.

L’evento formativo sarà perciò essenzialmente declinato in termini esperienziali, dove l’esperienza è intesa come un processo (Ciclo dell’Esperienza) in cui la persona testa le sue ipotesi, ovvero le sue personali anticipazioni, investe tempo ed energie personali per effettuare il suo esperimento e può validare o revisionare le sue ipotesi iniziali. Lo stesso ciclo sarà utilizzato per individuare e superare le inerzie in cui cadiamo quando, sotto minaccia o privi di chiavi di lettura, tendiamo a evitare, di volta in volta, l’incontro, la verifica e la revisione, rimanendo, di fatto, intrappolati da noi stessi.

In quanto fondamentalmente radicato nell’esperienza e gestito all’interno di un gruppo inteso come laboratorio relazionale, l’intervento formativo potrà svolgersi non solo in aula ma anche in outdoor (navigazione a vela, orienteering, etc.).

III. Il follow up

L’ultima fase è l’applicazione all’intero intervento del Ciclo dell’Esperienza e corrisponde sia alla verifica dell’efficacia dell’intervento sia alla revisione, quando risulti utile e necessario, delle anticipazioni iniziali. L’approccio costruttivista offre una metodologia rigorosa che permette una continua verifica degli obiettivi e dei risultati attesi.

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