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La gestione del conflitto come competenza relazionale

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Il conflitto è una condizione organizzativa inevitabile: in ogni azienda, le relazioni tra persone, le questioni legate agli aspetti economici e all’organizzazione interna rendono possibile la nascita di conflitti.
Proprio per questo, le sfide che ogni giorno un leader deve affrontare hanno a che fare con aspetti che vanno ben oltre la semplice redditività: egli ha l’importante compito favorire collaborazione e relazioni efficaci in primis tra e con i propri collaboratori, ma anche con gli attori esterni che ruotano intorno all’azienda: clienti, stake holder e fornitori per esempio.

Nell’analizzare i conflitti a partire dalla prospettiva costruttivista, possiamo considerare che essi nascono dal modo in cui gli eventi vengono anticipati dalle persone, e dalla conseguente incompatibilità delle rispettive posizioni. Questo assunto, da un punto di vista epistemologico, prende le distanze dal pensare ai conflitti come determinati da “dati di realtà”, poiché ogni prospettiva nasce da un osservatore. Watzlawick (2006) riflettendo sui rapporti interpersonali sostiene che essi “non sono aspetti della realtà di primo ordine la cui ‘vera’ natura possa essere accertata scientificamente. Essi sono mere costruzioni dei soggetti del rapporto, e come tali si sottraggono a ogni verifica oggettiva. Se si ammette questo, non è più possibile considerare come autorità suprema la ragione fondata sulla conoscenza scientifica” (pag. 202).
Ciò non significa che le posizioni di una persona siano “meno vere” di altre, ma semplicemente che ogni punto di vista si genera dall’esperienza di chi lo vive.

Alfred Korzybsky (1958) nell’affermare che “la mappa non è il territorio” intendeva proprio sottolineare come le persone utilizzino costantemente delle mappe per muoversi nella realtà (frutto delle proprie esperienze personali), e non la realtà stessa. In una situazione di conflitto quindi, il problema non è nella realtà, ma nella mappa della persona e, soprattutto, nella diversità tra le mappe degli attori coinvolti.

Conflitto in azienda

D’altra parte, seguendo il principio dell’alternativismo costruttivo, possiamo anche considerare che ogni costruzione è soggetta a tante ricostruzioni quante siamo in grado di immaginarne, il che apre la possibilità a modi sempre nuovi (anche se non sempre percorribili) di vedere gli altri, il mondo, se stessi.

Alla luce di ciò, la psicologia dei costrutti personali ipotizza alcuni processi attraverso cui le persone possono arrivare a situazioni di conflitto: continuare ad usare le stesse costruzioni per dare senso alle cose, anche quando esse si sono rivelate fallimentare nell’anticipare gli eventi, senza tentare di comprendere il punto di vista dell’altro, lo lascia ai nostri occhi incasellato in una posizione ben precisa, impedendo di uscire da situazioni di stallo e di conflitto.

G.A. Kelly (1955) ipotizza che per fare esperienze diverse, le persone debbano poter testare le loro ipotesi, mettendole a verifica ed, eventualmente, operando una revisione. Nei casi di conflitto tuttavia, è possibile che le persone non portino a compimento questo ciclo (ciclo dell’esperienza), interrompendolo in vari punti: per esempio, l’esperienza si può interrompere prima ancora che le anticipazioni vengano verificate, nel caso in cui venga evitato il contatto con le persone con cui si è in conflitto, eludendo così la fase dell’incontro. Un’altra possibilità è che si scelga di non mettere a verifica le proprie ipotesi, perché ciò potrebbe implicare dei cambiamenti scomodi o destabilzzanti. Ancora, potrebbe accadere che, nonostante la persona sia disposta a considerare la validità o l’invalidità delle proprie costruzioni, non sia pronta comunque a cambiarle, e metta quindi in atto una serie di strategie, più o meno consapevoli, per preservare le proprie ipotesi. Per esempio, potrebbe impegnarsi per non tenere in conto quanto emerso, oppure potrebbe screditare gli altri per ridurre l’impatto dell’invalidazione a cui è andata incontro.

Parlare di conflitto in questi termini, significa dunque considerarlo come un processo e, come tale, considerare anche le possibilità di cambiamento che apre. Alcune di esse hanno un carattere positivo, mentre altre, si delineano per le implicazioni sfavorevoli per l’azienda, ma anche per i lavoratori.

Il conflitto non affrontato adeguatamente, infatti, genera costi elevati, sia dal punto di vista economico, sia per quanto riguarda la gestione delle sue implicazioni.
Un conflitto, tra il personale dell’azienda (interno) o con clienti, fornitori, parti sociali (esterno) comporta un incremento dei costi da molti punti di vista. In termini di tempo, bisogna considerare il compenso percepito dalle persone coinvolte che, anzi che dedicarsi alle proprie attività lavorative, sono state impegnate nel conflitto; dal punto di vista economico, si devono tenere in conto cali nella produzione e nelle vendite, compensi per la formazione di nuove risorse qualora le persone coinvolte nel conflitto abbandonino l’azienda, ma anche l’onorario dei professionisti esterni chiamati in causa a gestire i conflitti (avvocati, mediatori, ecc.); di immagine, qualora le questioni legate al conflitto vengano divulgate all’esterno dell’azienda; organizzativo, nel momento in cui risulti necessario riallocare le risorse coinvolte in settori diversi; ovviamente, in termini di riduzione del benessere.

Gli imprenditori, ma soprattutto i leader, fanno quindi i conti con la necessità, e l’opportunità, di attivarsi non solo per far fronte, ma soprattutto per prevenire simili scenari legati al conflitto nelle loro aziende e nei loro team.
Un buon leader è consapevole del fatto che il conflitto è una componente inevitabile nelle relazioni di gruppo, ma sa anche che quando è gestito in modo consapevole e costruttivo, esso può aprire la strada a nuove opportunità per i singoli e per l’azienda. In quest’ottica, obiettivo fondamentale è creare una cultura organizzativa in cui esso possa essere affrontato in maniera esplicita e trasparente.

Il leader ha dunque l’importante compito di promuovere una modalità comunicativa in cui il punto di vista degli altri sia tenuto in considerazione per far emergere gli obiettivi comuni ai membri del gruppo e i fattori più sovraordinati che li accomunano; al contempo, la possibilità di cambiare la propria prospettiva deve essere incoraggiata nella misura in cui essa era funzionale a proteggere aspetti personali piuttosto che a perseguire gli obiettivi condivisi.

Favorire questi processi significa prevenire delle possibili escalation dei conflitti, attraverso la condivisione di presupposti relazionali volti a favorire spazi di incontro e confronto, mettendo le persone nella posizione di comprendere il punto di vista degli altri piuttosto che incasellarli in un ruolo che non permette esperienze relazionali diverse.

Nella misura in cui un leader funge da catalizzatore di questi processi, il gruppo diventa risorsa importante per affrontare situazioni difficili, sia organizzative che relazionali, perché si fa garante dei presupposti condivisi e offre nuove prospettive.
BIBLIOGRAFIA

Korzybski, A. (1958). Science and sanity: An introduction to non-Aristotelian systems and general semantics. Institute of GS.
Watzlawick, P. (2006). La realtà inventata. Contributi al costruttivismo. Feltrinelli Editore.
Kelly, G. A. (1955). The psychology of personal constructs. Volume 1: A theory of personality. Norton and Company.
Kelly, G. (1955). The Psychology of Personal Constructs: Vol. 2; Clinical Diagnosis and Psychotherapy. Norton and Company.

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